
La taranta del Salento
Nella distesa di foglie verdi, c’è un gruppo di donne che raccoglie il tabacco. Il caldo afoso di agosto sfoca le immagini all’orizzonte. Non si respira. Il lavoro non è ancora finito. Maria è assorta nei suoi pensieri. E’ la stagione in cui si decide il destino dell’anno. Si riempiono i granai, le botti di vino e si pagano i debiti. Tutti, compresa Maria, vivono in uno stato di drammatica sospensione. Ad un tratto, le urla di Assunta interrompono le sue inquietudini. La giovane donna è a terra, piange, si dimena. Agita convulsamente le braccia, le gambe, la testa. Le compagne accorse intorno a lei si guardano con aria di comprensione. Assunta è stata pizzicata dalla taranta.
La Taranta, simbolo del Salento
La taranta è il simbolo di una terra antica, fatta di miti, leggende, storia, religione e simbologia. La taranta è il Salento. Luogo in cui nei secoli si sono avvicendati popoli diversi, contaminazioni culturali, cambiamenti epocali.
Ma nel presente, i relitti del passato rimangono sempre, mutati e modernizzati. E’ quello che è successo al fenomeno del tarantismo, retaggio culturale che riecheggia ancora oggi. Un rito che per secoli è stato una pratica di esorcismo, di catarsi, di liberazione è ora diventato una danza, la pizzica o tarantella, che allieta le feste e le sagre di paese.
Origine della Taranta
Il tarantismo è un fenomeno storico – religioso e storico – culturale che affonda le sue radici nel Medioevo. Si è protratto fino al 700, e via via è andato attenuandosi fino a scomparire del tutto intorno agli anni ’60 del ‘900. La Puglia è l’area elettiva, all’interno del contesto più ampio del Regno di Napoli e dell’Italia meridionale.
Cos’è la taranta e il tarantismo
Il tarantismo è una pratica coreutico – musicale e cromatica, che serviva ad esorcizzare gli sfortunati pizzicati dalla taranta. Il fenomeno si manifestava con la caduta del soggetto (prevalentemente femminile) in una condizione di crisi causata dal morso (vero o simbolico) dell’aracnide. Al fine di ristabilire l’equilibrio della persona e mettere fine a questo stato di inquietudine e smarrimento, si metteva in pratica il rito coreutico – musicale.
Ossia, una orchestrina composta da violinista, tamburellista e altri tipi di strumenti, si recava a casa della tarantata, o del tarantato, per suonare diverse melodie. Lo scopo era quello di individuare, tra le tante, la melodia che facesse ballare la tarantata e che assolvesse alla funzione di liberarla dagli effetti del morso.
Individuata quella giusta, iniziava dunque la danza che si svolgeva in due fasi. Nella prima fase, la tarantata era a terra distesa o a carponi, come in simbiosi con il ragno, tanto da imitarne la posizione. Nella seconda fase, in piedi, la tarantata entrava in un rapporto di antagonismo con l’aracnide. Infatti, la danza diventava sempre più movimentata e metteva in scena un inseguimento – la tarantata inseguiva la taranta – fino a calpestarla e ucciderla.
Tarantismo e cristianesimo
Il rito esorcistico poteva durare un giorno intero o anche più giorni, fino ad un massimo di 4 – 5 giorni. Sebbene in alcuni casi rari, ci siano volute anche una o due settimane. A concedere la grazia finale era San Paolo, protettore delle tarantate. Durante il rito, infatti, i soggetti spesso si fermavano per dialogare con lui, supplicandolo di mettere fine alle loro pene, liberandole dalla taranta.
Molto spesso però, non si trattava di un esorcismo definitivo. La crisi, infatti, si rinnovava per molti anni con una periodicità calendariale, ossia tra giugno e agosto. Ma soprattutto tra il 28 e il 29 giugno, nei giorni della festa di San Paolo. In sostanza, al primo morso (più simbolico che reale), la taranta lasciava una discendenza. Concluso l’esorcismo a domicilio, le tarantate si recavano a Galatina, nella Chiesa di San Paolo per un rendimento di grazie e per consegnare le offerte lasciate da chi assisteva in casa al rituale coreutico – musicale.
Il tarantismo, dunque, fu inserito nel culto di San Paolo, nonostante abbia sempre mantenuto il suo simbolismo arcaico che lo rende più vicino alle tradizioni pagane del mondo antico. Ciò avvenne in virtù del tentativo cattolico di controllarlo e di ridurlo nell’orbita della Chiesa. Ed in virtù della tradizione religiosa che considera il Santo protettore dai morsi di animali velenosi (serpenti, scorpioni, ragni, ecc.).

Le spiegazioni al tarantismo
Tutta la letteratura che, dal ‘600 in poi, racconta il tarantismo cercando di dargli una possibile spiegazione, concorda con l’interpretazione medica del fenomeno. Ossia, dal punto di vista scientifico, il tarantismo era una malattia causata da due fattori. O da una sindrome tossica causata dal morso di un ragno oppure, da un’alterazione psichica che poteva dipendere o meno dal morso di un aracnide.
Solo in un secondo tempo, intorno al ‘900, si iniziò ad osservare il fenomeno da un’altra prospettiva: quella culturale. Il ricercatore che per primo decise di effettuare un’analisi approfondita e completa partendo da questa linea, fu l’etnologo Ernesto De Martino. Seguendo le ipotesi avanzate da due studiosi che lo precedettero.
Ernesto De Martino e la taranta
Il libro dell’etnologo di origini napoletane racconta del viaggio da lui compiuto insieme ad una équipe di esperti – medici, psicologi, psichiatri, storici, ecc. – nella Terra del Rimorso, il Salento. Il suo obiettivo, è quello di studiare il tarantismo dal punto di vista culturale e sociale, e confutare l’interpretazione medico – scientifica fino ad allora accettata.
L’équipe, giunta nel Salento l’estate del 1959, studia e analizza ben 37 casi di persone tarantate. De Martino riesce nel suo intento. Difatti, egli dimostra che il morso della taranta non è reale ma simbolico. E dimostra anche come le pratiche coreutico – musicali abbiano, in realtà, la funzione di far defluire conflitti interiori di persone in preda alle ansie di un’esistenza segnata dalla povertà e dall’emarginazione. E non di curare dal veleno dell’aracnide. Inoltre, individua una serie di elementi che caratterizzano il fenomeno conferendogli un’autonomia simbolica e allontanandola dalla interpretazione medica.
L’autonomia simbolica del tarantismo
Il ricercatore individuò una serie di fattori che conducevano verso un’unica direzione. Ossia, la dimostrazione del carattere simbolico del tarantismo e del suo condizionamento storico culturale. Simbolico era anche il morso della taranta, che coincideva con un momento cruciale del malessere della persona, un punto di non ritorno, a partire dal quale tutto aveva inizio. Cinque erano gli indici che dimostravano la tesi di De Martino:
- l’immunità di Galatina dal tarantismo
- la ripetizione annuale della crisi
- il genere coinvolto
- la distribuzione familiare del fenomeno
- l’età del primo morso
Galatina immune dal tarantismo
Galatina aveva il privilegio di essere immune dal tarantismo. Alla città, infatti, fu concessa protezione da San Paolo mentre era di passaggio durante il suo viaggio verso Roma. In tutto il territorio di Galatina, quindi, le tarante non erano dannose.
I tarantati che il 28 e 29 giugno arrivavano in città provenivano tutti da altri paesi del Salento. Non ci fu nemmeno un caso di tarantismo tra i galatinesi. E’ questo un indice che dimostra chiaramente il condizionamento culturale nel quale si esplica il fenomeno. Perché, solo a Galatina l’aracnide non era velenoso? – ammesso che il fenomeno fosse da ridursi al morso reale di un aracnide.
La ripetizione della crisi
Ogni anno, e per un numero variabile di anni, la crisi si ripeteva. Il primo morso veniva curato a domicilio con l’impiego della musica, della danza e dei colori. Ma ogni anno, la crisi tendeva a rinnovarsi in una serie di ri-morsi. Dunque si faceva nuovamente ricorso alla cura e si rendeva necessaria la visita alla Chiesa di San Paolo a Galatina.
Questo rinnovarsi della crisi, a distanza di un anno, non poteva avere nessun nesso razionale con una sindrome tossica da morso di ragno velenoso. Difatti, nel caso di un ipotetico avvelenamento da aracnide, la sindrome scompare una volta finito l’effetto del veleno. Senza che ciò causi delle ricadute a distanza di tempo. Inoltre, le crisi diventavano sempre più frequenti in prossimità della festa dei SS. Pietro e Paolo – 28 e 29 giugno. Dopo questa data, iniziavano a diminuire.
Le donne e le tarante
Nella ricerca svolta da De Martino e la sua équipe, dei 37 tarantati, 32 erano di sesso femminile. Si trattava, quindi, di una prevalenza troppo netta per essere casuale. Le donne, in quell’epoca, vivevano in uno stato di forte sottomissione e molto spesso erano destinate a matrimoni forzati. Circostanze che molto facilmente possono indurre a malesseri esistenziali di vario tipo.
Il morso della taranta e la distribuzione famigliare
Nelle famiglie dei tarantati, spesso vi erano stati altri casi in passato negli ascendenti. Ad esempio madre e figlia, o nonna e nipote. I condizionamenti, quindi, avvenivano anche in rapporto alle influenze della vita di famiglia.
L’età e il morso della taranta
Il primo morso della taranta avveniva spesso nel periodo adolescenziale. Ossia, tra gli inizi della pubertà e il termine dell’età evolutiva. Periodo durante il quale si iniziano a sentire le “prime vaghe irrequietezze che sono proprie di questa età”.
Tutti questi fattori, dunque, conferivano al tarantismo un valore simbolico che lo caratterizzava come un fenomeno autonomo e indipendente dalla scienza medica. Inoltre, dimostravano quanto il tarantismo fosse fortemente condizionato da un punto di vista culturale (dalle condizioni familiare, sociali, credenze, ecc.) e come fosse una pratica per evocare conflitti irrisolti dell’inconscio per liberarsene. Infatti, le persone analizzate durante la ricerca, avevano tutte un passato e un presente conflittuale. Fatto di rimorsi, rimpianti, vessazioni, perdite affettive, amori non corrisposti, insicurezze.
I simboli del tarantismo e della taranta
Il rito coreutico – musicale – cromatico di liberazione dal morso della taranta, si svolgeva a domicilio o all’aperto. In entrambi i casi, occorreva rispettare alcune precise caratteristiche che costituivano lo scenario rituale. Elementi fondamentali erano la musica, la danza e il ballo. Ma occorreva allestire l’ambiente “lo spazio sacro” con alcune precise particolarità.
la camera da letto destinata al ballo dei tarantati sogliono adornare con rami verdeggianti cui adattano numerosi nastri e seriche fasce di sgargianti colori (..) un timo colmo d’acqua e addobbato con pampini di vite e con verdi fronde di alberi (..) dove essi si bagnano capo e fronte o vi si immergono dentro (..)
Come si legge da questa descrizione del medico leccese Nicola Caputo, nel luogo destinato alla danza venivano spesso collocate conche colme d’acqua. Addobbate con erbe e rami verdeggianti. Altri elementi presenti nella scena erano spade, coltelli e specchi. Spade e coltelli servivano per il combattimento rappresentato durante la seconda fase della danza – ossia quando il tarantato insegue la taranta per ucciderla. Nello specchio i tarantati si contemplavano di tanto in tanto, emettendo profondi sospiri. In alcune case erano presenti anche altalene o funi appese al soffitto, che servivano ad imitare il comportamento del ragno sospeso al filo della sua tela.

La musica della taranta
La musica inaugura il rito terapeutico. Nella tradizione arcaica, le tarante appaiono sensibili alla musica e al ballo. A seconda della loro grandezza e del loro colore, mostrano preferenza per una melodia piuttosto che per un’altra. Attraverso il morso, esse trasmettono al tarantato le loro preferenze.
L’orchestra che interviene per mettere in pratica il rituale di esorcismo, inizia con un’esplorazione musicale. Inizia, cioè, a suonare una serie di musiche tradizionali fra cui scegliere la più adatta. Quella giusta era la melodia che faceva “scazzare” – stimolare – il tarantato, che quindi iniziava a ballare.
Anche gli strumenti musicali rientrano nella simbologia del tarantismo. Il ballo, infatti, era stimolato da particolari strumenti che potevano essere strumenti a percussione, trombe, lire, cetre, clavicembali, violini, bombarde e via dicendo. Il tarantato si dirigeva verso la sua scelta e talvolta danzava vicino al suonatore.
I musicisti acquistavano così il carattere di medici ed esorcisti oltre ad essere artisti. Da loro dipendeva il successo dell’esplorazione musicale e della cura.
I colori della taranta
Allo stimolo dei suoni, si associava quello del cromatismo. I tarantati erano soliti fissare avidamente lo sguardo su certi colori. Quelli ostili suscitavano impulsi aggressivi e di collera. Dunque, per esorcizzare il tarantato, oltre a scegliere la musica giusta, occorreva individuare il colore della sua taranta.
Nella stanza adibita per il rituale, si fissava una fune da muro a muro dalla quale pendevano panni di vario colore. La tarantata nel corso della sua danza sceglieva il panno colorato di suo piacimento e su di esso faceva defluire i suoi sfoghi. Da questa scelta, si deduceva il colore della taranta che aveva pizzicato la povera sfortunata.
Il simbolismo stagionale
Il periodo del tarantismo era la stagione estiva. Precisamente, dal principio di maggio alla fine di agosto. Era in questi mesi che si verificava il primo morso o il ri – morso, ossia il ripetersi della crisi. Perché proprio in questo arco di tempo, prendeva forma il faticoso epilogo dell’anno agricolo, che poteva essere positivo o negativo.
In questa stagione si decideva il destino dell’anno. Si riempivano le botti, i granai. Si viveva, dunque, in una sospensione temporale, una forte tensione sociale che avrebbe determinato l’andamento della propria sorte. Bisognava essere forti ed energici per superare queste ansie e inquietudini. Alcuni, purtroppo, non riuscivano ad esserlo e manifestavano attraverso crisi esistenziali i loro conflitti inconsci.
Il simbolo della taranta
La taranta è il “simbolo egemonico, il mito unificatore” . E il suo morso è la condizione esistenziale del tarantismo. Essa poteva essere di dimensioni e colori diversi. Ed era quindi sensibile a diverse melodie e cromatismi.
Mordendo, o pizzicando, la taranta trasmetteva le sue inclinazioni e immetteva nelle vene un veleno che durava finché viveva la taranta. La sua efficacia terminava quando il tarantato, nella seconda fase della danza – agonistica – uccideva il ragno velenoso.
La taranta mordeva in estate, e il suo morso si risvegliava nelle estati successive, perché non era ancora morta. Bloccava i “pensieri e i propositi” della vittima, costringendola a restare nella condizione in cui era al momento del morso. Per guarire, essa doveva tornare sul luogo dove fu morsa, cercare la taranta e ucciderla.
Un “tornare” simbolico, che significava tornare all’inizio della crisi, cercare il contenuto conflittuale e “togliere il blocco”. La vittima doveva riprodurre la sua situazione iniziale: indossare gli abiti portati in quel momento, gli oggetti che la circondavano.
Il ragno diventa, dunque, il simbolo di un passato cattivo, di un conflitto inconscio irrisolto nel quale il tarantato era rimasto imprigionato. Mediante il simbolo della taranta e lo stimolo del rituale coreutico musicale e cromatico, il conflitto entrava nella coscienza per essere risolto.
Similitudini etnologiche e folkloristiche della taranta
Esistono paralleli, similitudini etnologiche e folkloristiche che permettono di inserire il tarantismo in una più vasta rete di rapporti culturali. Per avere un quadro completo sul fenomeno, è indispensabile, infatti, individuare le sue origini storiche. Il ché significa effettuare una comparazione con fenomeni simili rintracciabili nel mondo classico o più generalmente nelle religioni del mondo antico.
Tuttavia, la ricerca di similitudini non deve portare a ridurre il tarantismo ad una imitazione dei suoi antecedenti. Perché difatti esso ha una sua autonomia simbolica e il confronto con il passato permette di individuare la sua peculiarità come fenomeno sorto nel medioevo e plasmato secondo la vita culturale dell’Italia meridionale di quel periodo.
I paralleli riscontrati sono quelli con i culti orgiastici e iniziatici dell’antichità classica e alcuni paralleli con tradizioni africane. Infatti, durante il Medioevo, le popolazioni dell’Italia meridionale sono state per lungo tempo esposte a secolari influenze “afromediterranee”.
Taranta e cultura africana
Esiste, dunque, un insieme di culti africani affini al tarantismo (zar, bori, ecc.) nei quali le persone possedute da demoni vengono esorcizzate con rituali coreutico – musicali. Questi culti erano diffusi principalmente in Africa settentrionale: Egitto, Tripolitania – attuale Libia – Tuinsia, Penisola Arabia, Etiopia e una gran parte del Sudan.
A quest’area si aggiungono quelle del mondo afroamericano: afrobrasiliano, afrocubano e afro – haitiano. In questi ultimi luoghi, i culti affini sono: macumba, candomblé, santeria e vodu.
Si tratta di riti popolari che riguardano principalmente la popolazione femminile. I soggetti sono posseduti e in stato di trances. Cadono a terra e si abbandonano a danze frenetiche. Durante l’esorcismo pubblico, lo spirito possessore viene riconosciuto dai passi che esegue o dalla melodia che la vittima sceglie per accompagnare la danza.
Anche qui il fenomeno si limita ai ceti popolari, e principalmente alle donne, si risolve con una terapia coreutico – musicale, lo spirito possessore ha caratteri ed inclinazioni diverse. Il fenomeno si manifesta nel periodo estivo, le vittime si impongono digiuni astinenze sessuali. Tutti questi elementi rendono impossibile l’idea dell’esistenza di uno spirito possessore, ma, al contrario, di stati depressivi che conducono ad uno stato di crisi.
Altre similitudini si riscontrano nelle pratiche bori in Nigeria, in quelle zar dell’Etiopia e, soprattutto, nel culto haitiano del vodu le cui cerimonie soddisfano il profondo bisogno di “far defluire traumi, frustrazioni, conflitti e repressioni”.
Taranta e folklore europeo
Fenomeni simili al tarantismo, rintracciabili nella vita religiosa minore delle popolazioni europee, erano presenti in Sardegna, in Spagna e forse anche in Provenza, dove musica e danza erano funzionali all’esorcismo del morso avvelenatore di una specie animale mitica. Come, ad esempio, l’argia sarda.
Taranta e tradizione greca
Un antecedente storico, fondamentale per inquadrare il tarantismo, è quello rappresentato dalla vita religiosa greca. La Puglia fu parte della Magna Grecia, pertanto ne ha subito le influenze culturali.
Difatti, nel mondo religioso greco, ritroviamo il simbolismo del morso, della musica, della danza e dei colori. Ed ancora, quello dello scenario arboreo e dell’acqua. Già in età ellenistica i greci possedevano testimonianze medico – letterarie e magico – religiose sui morsi degli animali e i loro effetti sull’uomo.
Ossia, tremori, convulsioni, delirio. Scrivevano di simbolismi cromatici legati al colore del ragno, dello scorpione o del serpente. E di come donne e fanciulle fossero i soggetti principalmente coinvolti. La spiegazione che fornivano non si svolgeva su un piano reale di sindrome da intossicazione da animale velenoso bensì su quello simbolico del morso inteso come occasione per far defluire contenuti conflittuali ricorrenti soprattutto nella vita femminile.
Eschilo e Io
Emblematico è il racconto di Eschilo che narra la vicenda di Io, sacerdotessa del tempio di Hera ad Argo. Io, vergine errante è vittima di un amore precluso, mentre Zeus brama ardentemente di possederla, scatenando la gelosia di Hera. Zeus trasforma Io in vacca per possederla. Hera, per vendicarsi, invia alla fanciulla un tafano che la insegue col suo pungiglione, obbligandola ad una corsa senza meta.
Questa storia mitica richiama alcuni temi del tarantismo. Io è vittima di un amore precluso, causa che spesso coincide con l’inizio di una crisi esistenziale, quindi con il tarantismo. Costretta ad unirsi con Zeus (come nelle nozze combinate di un tempo). Elementi cruciali che scatenano la crisi. L’animale che la perseguita al pari della taranta e il tafano. La corsa sfrenata si arresta e si risolve in uno scenario arboreo ed acquatico.
Queste somiglianze non possono essere casuali dato che dipendono da una comune realtà religiosa. Ossia quella greca e quella della Puglia in quanto parte della Magna Grecia.

La fine del tarantismo
L’espansione della civiltà cristiana, il progresso delle scienze mediche, l’Illuminismo, il Positivismo determinarono cambiamenti nel tarantismo. Ne compromisero l’efficacia antica, ruppero l’equilibrio culturale e lo portarono al tramonto.
Già nel 1956, dalle testimonianze riportate dal De Martino, i riti coreutico musicali a domicilio erano rari e molto spesso vietati dalle autorità civili. Non vi erano più i musicisti e i suonatori di una volta e il repertorio delle musiche tradizionali molto limitato.
Il tarantismo si era oramai ridotto all’usanza di rendere o chiedere la grazia al Santo presso la Chiesa di Galatina. Dove i corpi dei tarantati rimanevano abbandonati a se stessi senza alcun orizzonte verso il quale rivolgersi per far defluire il loro malessere interiore.
E poi, arrivò il giorno in cui i tamburelli rimasero appesi al muro e le ultime tarantate smisero di andare a Galatina. Arrivò il boom economico, la modernizzazione, l’omologazione dei costumi e dei comportamenti, quello che Pasolini chiamava “il genocidio culturale”.
Il folk revival della taranta
A partire dalla fine degli anni Ottanta, però, si risveglia l’interesse verso la musica tradizionale. Siamo nel pieno del folk revival nazionale, quel movimento che aveva l’obiettivo di recuperare il vasto patrimonio di canti tradizionali regionali italiani, perso durante gli anni del miracolo economico che cambiò radicalmente lo stile di vita della maggior parte degli italiani. Si avvia così anche nel Salento l’impegno finalizzato alla ripresa delle culture musicali tradizionali, con particolare riferimento alla pizzica.
La taranta – pizzica oggi
La pizzica di oggi non è un’eredità diretta e naturale del ricco passato che ha caratterizzato il fenomeno del tarantismo. La pizzica che almeno una volta ognuno di noi ha ascoltato durante una sagra di paese è una ricostruzione in cui una parte della tradizione è andata persa, e una parte è stata ripresa, modificata e adattata ad un consumo culturale.
A monte vi era il problema della difficoltà nel recuperare una tradizione che si è tramandata per secoli esclusivamente per via orale. Spesso i testi delle canzoni erano lacunosi e le melodie difficili da riprodurre. Per cui si è fatto ricorso a forzature e vere e proprie invenzioni terminologiche come la pizzica de core, ossia la pizzica di corteggiamento, non documentata nella tradizione.
Eppure, è la pizzica che vediamo ballare ovunque, nelle piazze, nelle feste, durante le sagre di paese. La pizzica protagonista de La Notte della Taranta (clicca qui per maggiori informazioni) che allieta e rallegra le serate estive, che accompagna le degustazioni culinarie. La pizzica che piace e che, per questo motivo, si è diffusa in tutto il mondo.